giovedì 17 dicembre 2009

Gli Antiossidanti

Gli antiossidanti sono delle sostanze in grado di neutralizzare i cosiddetti radicali liberi. Questi ultimi si formano durante i normali processi di produzione di energia, a causa dell’ossigeno necessario. Per essere più chiari, normalmente, solo una piccola parte dell’ossigeno genera queste sostanze, quantità che, in condizioni di riposo, si può valutare intorno al 5 per cento. Quando si pratica attività fisica, soprattutto di resistenza come il ciclismo, il nostro corpo necessita di grandi quantità di ossigeno per produrre tutta l’energia necessaria a far contrarre i muscoli. Il consumo di ossigeno rispetto alle condizioni di riposo può aumentare anche di dieci-venti volte e l’ossigeno che attraversa i muscoli anche di cento-duecento volte. Questo grande aumento del consumo di ossigeno da parte dei muscoli interessati nel gesto atletico può fare aumentare anche di due o tre volte la quantità di radicali liberi prodotti. I radicali liberi sono stati chiamati in causa in molte patologie, anche come causa di tumori, e in particolare nei processi di invecchiamento. Naturalmente non hanno una responsabilità diretta, non sono la causa della malattia o dell’invecchiamento, ma contribuiscono sicuramente alla loro insorgenza e alla loro evoluzione nel tempo. I radicali liberi danneggiano le membrane delle cellule, le proteine e il Dna, l’acido desossiribonucleico, cioè i geni, la sede di tutte le informazioni necessarie alla crescita, allo sviluppo e al funzionamento delle cellule.

Le cause legate all’attività fisica
La necessità di utilizzare molto ossigeno per produrre l’energia necessaria a far lavorare i muscoli causa un aumento della produzione di radicali liberi. Una seconda possibile causa è legata alle modificazioni della circolazione del sangue. La quantità di sangue del nostro organismo non è sufficiente perché tutte le sue funzioni lavorino a pieno regime. Durante l’attività fisica, di conseguenza, aumenta la quantità di sangue inviata ai muscoli e si riduce quella inviata ad altri organi non necessari all’attività fisica stessa, come l’apparato digerente, il fegato, la milza, il rene. A questi organi, e a volte ai muscoli stessi, sia se si esprimono a massima intensità o no, può transitoriamente non arrivare ossigeno a sufficienza per il loro fabbisogno minimo vitale. Al termine dell’esercizio, la ripresa della normale circolazione verso tutti gli organi e il ripristino del giusto apporto di ossigeno possono determinare un aumento della produzione di radicali liberi. Un’altra causa è poi l’aumento della produzione di catecolamine, l’adrenalina, durante l’attività fisica, e queste possono essere una fonte di produzione di radicali liberi. L’attività fisica aumenta, quindi, la produzione di radicali liberi, dannosi per il nostro organismo, ed è stato inoltre evidenziato come si riduca la quantità di sostanze antiossidanti disponibili in grado di neutralizzarli. Questa riduzione può comunque essere attribuibile a un aumento delle necessità del nostro organismo, impegnato a liberarsi da queste sostanze nocive prodotte in eccesso. Aumentando i radicali liberi, viene utilizzata una quota maggiore di antiossidanti disponibili e, di conseguenza, si riduce la loro quantità.

L’allenamento e le abitudini di vita
È normale preoccuparsi e chiedersi se praticare attività fisica non possa fare male. Come al solito, il nostro organismo dimostra ancora una volta di essere una macchina perfetta e intelligente. Grazie al regolare allenamento, infatti, le capacità antiossidanti aumentano e diventano più potenti. L’inevitabile produzione di radicali liberi in eccesso viene così prontamente compensata. Il nostro organismo impara a utilizzare al meglio gli antiossidanti che nell’atleta risultano essere più “bravi” a neutralizzare i radicali liberi. È stato infatti visto come l’attività antiossidante sia proporzionale alle qualità dell’atleta: più è alto il consumo massimo di ossigeno, parametro che misura le doti di resistenza, più potenti sono i sistemi organici antiossidanti. A questo punto è bene citare anche altre cause di aumento della produzione di radicali liberi, come il fumo, l’etilismo e la permanenza in alta quota. Anche la dieta influenza le nostre capacità antiossidanti. È stato dimostrato come un’alimentazione abbondante determini una maggiore produzione di radicali liberi. Paradossalmente, anche un’alimentazione insufficiente determina lo stesso effetto. In esperimenti su animali è stato visto come una riduzione del 40 per cento del cibo assunto spontaneamente migliorasse lo stato di salute, riducesse i radicali liberi e aumentasse le aspettative di vita. Per gli stessi animali, alimentazioni più ridotte causavano esattamente l’effetto opposto. In altre parole, un’alimentazione adeguata qualitativamente e quantitativamente, la pratica regolare di attività fisica, l’astensione dal fumo e l’assunzione moderata di alcolici, sono le migliori armi contro i radicali liberi e le conseguenze di un loro eccesso.

Gli antiossidanti
Quali sono gli antiossidanti che il nostro organismo ha a disposizione? Sono diverse sostanze, tra cui alcune vitamine e un minerale. Le vitamine che svolgono attività antiossidante sono la vitamina E, la vitamina C e la vitamina A. Le vitamine sono sostanze che vengono normalmente fornite dalla dieta e si trovano, generalmente, negli alimenti di origine vegetale (frutta e verdura). Il minerale con la nota proprietà antiossidante è il selenio. Il selenio, nella dieta, si trova soprattutto nelle carni e nei pesci, il cui contenuto dipende dal selenio che essi assumono con l’alimentazione. Per le loro attività antiossidanti il selenio e la vitamina E sono spesso citati come sostanze antivecchiaia.

Altri antiossidanti
Fra gli altri antiossidanti, citiamo l’ubichinoni e il coenzima Q, fattore indispensabile alla produzione di energia per via aerobica e che si trova nella carne di vitello, nelle sardine, negli spinaci e nelle noccioline. il CELLFOOD gocce ( deutrosulfazyme), la Same ( S-Adenosil Metionina, antiossidante, disintossicante epatico e donatore di gruppi metile, il glutatione, sostanza conosciuta in medicina come disintossicante, che viene infatti impiegato contro i danni provocati dall’etilismo e nelle intossicazioni da farmaci. Un ultimo antiossidante da citare è l’acido lipoico, contenuto nei vegetali e, soprattutto, negli spinaci.

Antiossidanti e sport
Molte ricerche hanno cercato di evidenziare danni da carenza di antiossidanti e gli effetti della loro assunzione sull’attività fisica e sulla prestazione. La più studiata è la vitamina E. Dai risultati ottenuti, non è facile trarre conclusioni. Apparentemente gli antiossidanti non influenzano la prestazione, mentre proteggono i tessuti dai danni legati all’attività fisica stessa. In particolare, sarebbero meno importanti i danni al muscolo, danni legati alla sola attività fisica e al loro uso intenso, senza naturalmente influenzare i possibili danni da traumi. In altre parole, gli antiossidanti non prevengono strappi, stiramenti, infiammazioni, contratture, ma quel lento logorio invisibile. La vitamina E è quella che svolge il ruolo più importante, assieme al selenio. L’importanza fondamentale della vitamina E risiede nel fatto che né il selenio né la vitamina C riescono a supplire a sue eventuali carenze. L’attività di altri antiossidanti potenzia, ma non sostituisce, l’azione principale svolta dalla vitamina E. Naturalmente, anche in questo caso, anche se vitamina E, A e C non presentano particolare tossicità, si devono tenere ben presenti le abitudini dietetiche e devono essere evidenziate eventuali carenze, prima di assumere integrazioni, in particolare si deve fare attenzione nei riguardi della vitamina E, l’ antiossidante più utilizzato dal nostro organismo. L’atleta, rispetto al non atleta, ha sicuramente un fabbisogno aumentato di queste sostanze, anche se è più bravo a smaltire, neutralizzare i radicali liberi prodotti in abbondanza durante l’attività fisica. Paradossalmente molti antiossidanti assunti a grandi dosi possono causare l’effetto opposto, ovvero essere essi stessi fonte di produzione di radicali liberi.

Come funzionano
Un normale atomo di ossigeno ha quattro paia di elettroni. Il metabolismo naturale del corpo può sottrarre un elettrone all’atomo, che diventa, quindi, un radicale libero che cerca di rimpiazzare l’elettrone perso attaccando altre molecole. Quando un radicale libero, si appropria di un elettrone da una molecola, si forma un nuovo radicale libero, creando, in questa maniera, una reazione a catena. Il furto a catena degli elettroni corrode la membrana cellulare, portando alla disintegrazione della cellula stessa, aprendo la porta a tumori e ad altre malattie. Grazie alla loro struttura molecolare, gli antiossidanti possono fornire elettroni ai radicali liberi, senza per questo diventare pericolosi, fermando la pericolosa reazione a catena.

venerdì 11 dicembre 2009

Chi mangia in fretta ingrassa di più

Masticare con calma aiuta a non mangiare troppo:il merito è degli ormoni della sazietà


Chi va piano va sano e va lontano. Adattato alla dieta, il vecchio detto potrebbe suonare più o meno così: chi mastica piano resta sano e mangia poco. Che mangiare con calma sia meglio di trangugiare un pasto intero in cinque minuti non è precisamente una novità, ma oggi c'è uno studio, di prossima pubblicazione sulle pagine di Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism, che mette il «sigillo» scientifico a tutto questo con un esperimento a cui molti si sarebbero forse sottoposti assai volentieri.

GELATO – Il cibo-test usato dagli autori, un gruppo di ricercatori del Laiko General Hospital di Atene, in Grecia, è stato infatti un ghiotto gelato da 300 grammi. Ai volontari sono stati dati ben trenta minuti per gustarselo: alcuni lo hanno spazzolato in pochi minuti, altri si son presi tutto il tempo per mangiarlo. I ricercatori hanno prelevato campioni di sangue prima del gelato e poi ogni 30 minuti, fino a tre ore e mezzo dopo l'inizio del pasto; nel sangue sono stati dosati glucosio, insulina, grassi e i livelli di due ormoni, il peptide YY e il peptide simile al glucagone. Questi ormoni, che vengono prodotti dall'intestino, agiscono sul cervello inducendo sazietà e segnalando che il pasto deve interrompersi; ebbene, chi aveva impiegato più tempo a mangiare il gelato aveva mediamente livelli più elevati nel sangue di peptide YY e peptide simile al glucagone, e non a caso riferiva di sentirsi più sazio.

PROVE – «Molti di noi hanno sentito dire che mangiare veloce porta a esagerare e perfino a diventare obesi; già altri studi di osservazione hanno confermato questa idea – dice Alexander Kokkinos, il responsabile della ricerca –. I nostri dati offrono una spiegazione per tutto ciò: la velocità a cui si mangia, infatti, incide non poco sulla sintesi di ormoni fondamentali per segnalare al cervello la sazietà e quindi dare lo stop al pasto». Se non si dà il tempo agli ormoni di essere prodotti e arrivare al cervello (e occorrono almeno dieci, venti minuti dall'inizio del pasto perché succeda), non riceviamo il segnale di stop: chi spazzola un tavolo prima che si inneschi la comunicazione stomaco-cervello è destinato perciò a esagerare e mangiare qualcosa di troppo. Non a caso esistono studi che rivelano come la carenza dei due ormoni intestinali porti a stra-mangiare. «Quando diciamo ai bambini di non abbuffarsi come lupi abbiamo più che ragione: proprio ai più piccoli è fondamentale insegnare l'importanza di masticare con calma, prendendosi tutto il tempo necessario per gustare il pasto – considera il ricercatore –. Il problema ovviamente riguarda anche gli adulti: molti oggi, pressati dagli orari di lavoro e da una vita frenetica, finiscono per trangugiare in fretta i pasti. E spesso proprio per questo mangiano più del necessario: è ora di riprendersi il tempo adeguato per consumare pranzo e cena, dando la possibilità al nostro organismo di sentire la sazietà».

mercoledì 2 dicembre 2009

Mangiare meno per vivere di più e meglio

Bastano 100 calorie in meno al giorno per ridurre del 10 per cento il rischio di disabilità a tre anni




MILANO - Non si allacciano più bene le scarpe. Salire le scale di casa diventa un’impresa, camminare fino al negozio per far la spesa uno sforzo titanico. Sono alcun delle tante disabilità che pian piano si insinuano nella vita degli anziani; ora uno studio tutto italiano presentato al congresso della Società Italiana di Gerontologia e Geriatra dimostra, per la prima volta al mondo sull’uomo, che basta mangiare meno per prevenire questi acciacchi. Per vivere meglio, insomma, e magari anche più a lungo.

CHIANTI – I dati sono gli ultimi risultati di una ricerca che è un po’ il nostro «Framingham Study» in materia di anziani, lo studio InCHIANTI come nel famoso studio americano, che segue dal 1948 gli abitanti di una cittadina del Massachusetts registrandone vita, morte e miracoli, così alle porte di Firenze un gruppo di ricercatori sta seguendo dal 1998 circa 1.200 anziani che vivono in due paesini del Chianti fiorentino. Arzilli vecchietti che, sarà merito della vita in campagna o dell’olio buono, sono spesso in buona salute e stanno indicando la strada per arrivare a una vecchiaia serena e senza acciacchi. Ultimo dato, appunto, la dimostrazione che basta mangiare meno per abbassare il rischio di sviluppare disabilità piccole o grandi: «Per la ricerca, in uscita su Age and Ageing, abbiamo analizzato i dati di 900 dei nostri anziani, per i quali avevamo informazioni nutrizionali complete – racconta Luigi Ferrucci, coordinatore dalla prima ora dello studio InCHIANTI (tuttora in corsa sotto l'egida della Azienda Sanitaria di Firenze) e oggi “emigrato” al National Institute of Aging di Bethesda, negli Stati Uniti –. Abbiamo anche indagato patologie concomitanti, dal diabete all’ipertensione, e anche consumo di alcol e abitudine al fumo; poi, all’inizio dello studio e dopo tre anni, abbiamo sottoposto gli anziani a una valutazione delle disabilità funzionali nella cura di sé e nelle attività quotidiane più varie».

DIETA – Risultato, chi mangiava di meno rischiava anche meno di ritrovarsi con qualche difficoltà di troppo: per ogni cento calorie in più infatti, cresceva del 10 per cento la probabilità di nuove disabilità funzionali nel giro di tre anni. Essere parchi a tavola aiuta a vivere meglio, quindi, e possibilmente di più: «Questi dati dimostrano per la prima volta nell’uomo un effetto della restrizione calorica su parametri importanti per la longevità – commenta Niccolò Marchionni, presidente della SIGG –. Tanti studi sull’animale ci hanno dimostrato che ridurre le calorie dei pasti allunga la vita: l’ultima ricerca, pubblicata in estate su Science, lo ha provato su una specie molto simile a noi, il macaco. Basta guardare le foto degli animali coinvolti, che sono stati seguiti dal 1989 a oggi: chi negli anni ha mangiato meno, oltre a vivere più a lungo e allontanare pure tumori, malattie cardiovascolari o diabete, fisicamente pare il nipote dei macachi non sottoposti a restrizione calorica». In effetti è vero: da una parte sguardi spenti, portamento curvo, pelliccia spelacchiata, dall’altra il ritratto della buona salute. Sull’uomo può quindi succedere lo stesso? «I dati di InCHIANTI sembrano suggerire di sì – dice Marchionni –. Tra l’altro si tratta di dati raccolti su persone non selezionate per uno studio sperimentale: il vantaggio di InCHIANTI è che sta seguendo anziani normali, di tutti i tipi, per cui le conclusioni hanno un significato reale, vero per ciascuno di noi».

GENI – Il Nobel per la medicina 2009 è stato assegnato a chi ha svelato i segreti dei telomeri, quei «cappucci» che stanno sulla parte finale dei cromosomi e si accorciano man mano che invecchiamo. In questi pezzettini di DNA molti vedono la chiave genetica del nostro destino di longevità: mangiar meno può in qualche modo ribaltare la nostra aspettativa di vita, in barba a quel che è scritto nei geni? «I geni rendono conto di circa il 30 per cento della possibile durata della nostra esistenza – dice Marchionni –. Il resto lo fa lo stile di vita, che può condizionare in meglio o in peggio la nostra longevità: fare attività fisica regolare, mangiare poco scegliendo cibi sani ed equilibrati aiuta di certo a mantenerci giovani e in salute più a lungo».