venerdì 16 ottobre 2009

Vino: un piccolo aiuto contro il cancro

In alcuni casi il vino può avere effetti positivi, se assunto con moderazione, infatti ne basta un bicchiere per aiutare a contrastare gli effetti negativi della radioterapia. A scoprirlo un team di ricercatori italiani dell’università Cattolica di Campobasso, che con il loro studio hanno guadagnato le pagine dell’International Journal of Radiation Oncology Biology.
Le radiazioni usate per combattere il cancro colpiscono, come è noto, anche i tessuti sani vicini, primo fra tutti la pelle che devono attraversare, provocando molto spesso effetti collaterali anche rilevanti. È in questo campo che il vino rivela un suo lato nuovo e inatteso: proteggere quei tessuti dalle radiazioni, senza peraltro diminuire l’efficacia della radioterapia nel danneggiare le cellule cancerose. A favorire questo effetto benefico non sarebbe l’alcol, ma altri componenti contenuti nel vino, primi fra tutti gli antiossidanti della categoria dei polifenoli.
La ricerca, condotta dall’unità operativa di Radioterapia e terapie palliative del dipartimento di oncologia e dai laboratori di ricerca dell’università Cattolica di Campobasso, ha preso in esame 348 donne malate di tumore al seno e sottoposte a radioterapia nello stesso centro molisano da febbraio 2003 a giugno 2007. Oltre alle normali informazioni cliniche necessarie per l’inizio della cura, ciascuna paziente aveva fornito informazioni sul suo stile alimentare e sulle sue abitudini di vita, incluso il consumo di bevande alcoliche e specificamente di vino.
Ciò che i ricercatori hanno esaminato è il danno che le radiazioni potevano provocare nella pelle del seno, un tipo di lesione misurato con una scala di gravità crescente. I risultati mostrano come le donne che avevano l’abitudine di bere moderate quantità di vino presentavano lesioni della pelle significativamente inferiori rispetto a quelle astemie.
«I nostri dati - spiega Alessio Morganti, direttore dell’unità di Radioterapia - mostrano che il consumo giornaliero moderato di vino presenta un rischio di danni cutanei mediamente inferiore del 75% rispetto a una paziente astemia. Questo lavoro va nella stessa direzione di alcuni studi precedenti, condotti in altri laboratori internazionali, che avevano mostrato come le componenti non alcoliche del vino, soprattutto i polifenoli, abbiano la capacità di proteggere il Dna dalle radiazioni. Naturalmente c’è ancora molto lavoro da fare per scandagliare nei dettagli questi effetti positivi del vino, ad esempio studiare se c’è differenza tra bianco e rosso».
«Un punto cruciale - prosegue l’esperto - sarà confermare direttamente il ruolo della componente non alcolica del vino, che potrebbe aprire la strada a un uso terapeutico di quegli antiossidanti. In ogni caso la possibilità che una particolare dieta o abitudine alimentare possa ridurre gli effetti collaterali della radioterapia è un’acquisizione decisamente imprevista e innovativa».
«Moderazione - ci tiene a sottolineare Giovanni de Gaetano, direttore dei Laboratori di ricerca - è la parola chiave quando abbiamo a che fare con bevande alcoliche. Nel caso delle donne sottoposte a radioterapia per il tumore al seno stiamo parlando di un bicchiere di vino al giorno, quindi una dose molto bassa, compatibile con le abitudini mediterranee. Naturalmente non sarebbe corretto - precisa - consigliare a una paziente astemia di cominciare a consumare vino prima di un trattamento radioterapico, ma emerge ancora una volta la validità della dieta mediterranea come stile di vita salutare».

1 commento:

  1. LONDRA - L'obesità produce una scarsa autostima o è la bassa autostima a produrre l'obesità? Uno studio britannico avvalora la seconda ipotesi, affermando che i bambini con problemi di autostima con più probabilità saranno obesi da adulti. Lo studio ha coinvolto 6.500 partecipanti al British Birth Cohort Study del 1970 e ha scoperto che i bambini di 10 anni che avevano scarsa stima di sè tendevano a essere più grassi da adulti. L'equazione era particolarmente vera per le ragazze, riferiscono i ricercatori del King's College London sulla rivista BMC Medicine. Per lo studio, è stato misurato il peso e l'altezza, e valutato lo stato psicologico, dei soggetti a 10 anni e poi a 30 anni. I bambini con una bassa autostima, che si sentivano poco padroni delle proprie vite e spesso preoccupati, con più probabilità erano in sovrappeso 20 anni dopo.

    LA SCOPERTA - Il professor David Collier, coordinatore della ricerca, dichiara: «La novità di questo studio è che finora l'obesità è stata considerata solo come disordine metabolico, mentre noi abbiamo dimostrato che anche i problemi psicologici costituiscono un fattore di rischio. E non si tratta di problemi psicologici gravi, ma di ansia e scarsa autostima a livelli normali». Un altro ricercatore che ha lavorato allo studio, Andrew Ternouth, aggiunge: «Non possiamo dire che i problemi psicologici da bambini causano l'obesità da adulti, ma certamente possiamo affermare che giocano un ruolo insieme ad altri fattori, come il peso dei genitori, l'alimentazione e l'attività fisica. Le strategie per la lotta all'obesità dovrebbero includere anche gli aspetti emozionali come la promozione dell'autostima agendo nelle scuole, in modo da aiutare i bambini a risolvere le loro ansie e eliminare almeno parte dei fattori di rischio del sovrappeso da adulti».

    RispondiElimina